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La responsabilità del debitore ceduto verso il cessionario all’interno dell’istituto della cessione del credito
La cessione del credito rientra tra i modi di estinzione del rapporto obbligatorio diversi dall'adempimento previsti e disciplinati all'interno del codice civile. Precisamente, l'istituto in questione ritrova la propria normativa all'interno del Capo IV del Titolo I del Libro IV.
In virtù della cessione, il credito vantato da un soggetto viene trasferito (a titolo oneroso o gratuito) a un terzo e, secondo l'impostazione maggioritaria, il trasferimento produce un'estinzione satisfattiva per il creditore originario.
La particolarità dell'istituto si ravvisa nella struttura.
Nonostante i soggetti interessati dalla cessione siano tre, il creditore originario cedente, il debitore ceduto e il terzo acquirente cessionario, la struttura negoziale è bilaterale.
Infatti, affinché il contratto sia validamente concluso, ex art. 1376 c.c., è necessario l'accordo tra cedente e cessionario.
Ai sensi dell'art. 1264 c.c., la cessione può essere notificata al ceduto, il quale può anche "accettarla", tuttavia, tali comunicazioni hanno valore di meri atti giuridici e assolvono una funzione ricognitiva del debito.
L'utilizzo della locuzione "accettata" ha natura impropria, lo si intuisce da un'analisi circa la ratio dell'istituto stesso.
Con la cessione del credito, il cedente e il cessionario realizzano un proprio interesse giuridicamente tutelato, mentre è indifferente per il debitore l'identità del soggetto verso cui adempiere.
Tale osservazione quadra con l'intera disciplina, la quale prevede che nei casi in cui l'identità dell'accipiens sia rilevante, la cessione sarà inefficace.
Qualora, infatti, il credito sia strettamente personale, ovvero il trasferimento sia vietato dalla legge, ovvero ancora l'interesse alla non trasferibilità sia stato esternato dal debitore (come da art. 1260, 1° e 2° co. c.c.) la cessione non potrà porsi in essere.
Con riguardo alla posizione del cessionario e ai profili di una sua tutela dinanzi all'inadempimento da parte del debitore ceduto, vengono in rilievo una serie di aspetti.
Infatti, il codice si preoccupa di disciplinare i profili di responsabilità del solo cedente.
Questi, ai sensi dell'art. 1266 c.c. è tenuto a garantire il nomen verum nel caso in cui il trasferimento sia a titolo oneroso. Qualora, invece, sia a titolo gratuito, il cedente è obbligato solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l'evizione, ex art. 797 c.c.
Dalla lettura di tale norma, si ricava che non è obbligato a garantire la solvibilità; di norma, la cessione avviene pro soluto.
Se ne ottiene conferma anche dall'art. 1267 c.c.: la norma, con una formulazione da cui traspaiono le intenzioni legislative, afferma che "il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia".
Nel caso in cui la cessione avvenga pro solvendo, e il cedente garantisca la bontas nominis, il codice, come da art. 1267 c.c., pone un limite alla garanzia prestata dal cedente.
Con riferimento, invece, alla posizione del debitore ceduto, la legge tace.
Il cessionario può, in primo luogo, esperire tutti i rimedi volti a ottenere l'adempimento.
Pende sul suo capo, infatti, un obbligo di diligenza, il quale rileva ai sensi dell'art. 1267, 2° co. c.c.
Il cessionario dispone delle azioni strettamente inerenti al credito, quali quelle di condanna all'esatto adempimento, quelle cautelari, revocatorie e surrogatorie, nonché delle azioni esecutive.
Nei confronti del ceduto non è possibile esperire le azioni di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c., poiché il debitore non è parte del contratto e, dunque, non ha alcun obbligo di buona fede nelle trattative e di informazione sulle cause di invalidità.
Proprio in riferimento a tale ultimo aspetto, un orientamento si è interrogato sulla possibilità di qualificare il rapporto tra il cessionario e il debitore come un'ipotesi di contatto sociale qualificato.
In virtù di tale impostazione, si configura un obbligo di protezione in capo al ceduto, il quale è tenuto a tenere indenne la sfera giuridica del terzo cessionario. Tale obbligo deve essere adempiuto attraverso la comunicazione preventiva e in tempo utile di tutte le informazioni attinenti al rapporto obbligatorio principale e al credito.
La mancata ottemperanza alla suddetta obbligazione determina la responsabilità da contatto sociale del debitore, e questi ne rispondere ex art. 1218 c.c.
L'orientamento non è accolto dalla giurisprudenza dominante, in ragione della considerazione che non si instaura un vero e proprio "contatto" tra le due parti, anzi, il ruolo del ceduto non è essenziale ai fini della validità del negozio.
Il debitore, in ogni caso, è tenuto al rispetto del generale dovere di neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c.
Nell'ipotesi in cui il debitore si ingeneri, con dolo o colpa, nella sfera giuridica del terzo e cagioni un danno ingiusto, sarà tenuto a risarcire il danno provocato.
L'accoglimento dell'una o dell'altra tesi genera conseguenze rilevanti sul piano giuridico.
Se, infatti, il debitore agisce in violazione del dovere ex 2043 c.c., spetta al cessionario dare prova della condotta, del danno e del nesso eziologico tra i due.
Nel campo della responsabilità aquiliana, infatti, non vige la presunzione di inadempimento che la giurisprudenza pacificamente riconosce in seno a quella contrattuale.