Responsabilità medica: coefficienti di probabilità statistica e probabilità logica. Il giudizio controfattuale nell’ambito della responsabilità penale del sanitario
Cass., Sez. IV, 2 ottobre 2024 n. 45399
Scarica la pronuncia qui:
La Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi in tema di responsabilità medica, con sentenza n. 45399/2024, confermando l'orientamento delle Sezioni Unite[1] secondo cui non è sufficiente il coefficiente di probabilità statistica espressa dalla legge statistica per confermare l'ipotesi accusatoria circa l'esistenza del nesso causale.
Il giudice, difatti, è tenuto a verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, in modo tale che, all'esito del ragionamento probatorio - esclusa l'interferenza di fattori eziologici alternativi - risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto grado di credibilità razionale".
La vicenda giudiziaria trae origine dalla morte di una giovane paziente avvenuta a causa di uno shock settico in soggetto affetto da colite pseudomembranosa.
Il giudice di prime cure ha riconosciuto la penale responsabilità del medico curante per aver omesso, a fronte della sintomatologia, di procedere all'esecuzione di un esame obiettivo volto a verificare segni patologici e per non aver fornito indicazioni utili all'espletamento di indagini cliniche di laboratorio necessarie per l'accertamento dell'entità dell'infezione gastroenterica.
In concorso con il medico, il Tribunale ha, altresì, condannato l'infermiera del 118 per aver omesso di procedere al trasferimento immediato della paziente in ospedale, l'infermiera preposta al triage del pronto soccorso dell'ospedale per aver sottovalutato la gravità delle condizioni della persona offesa, nonché il medico di guardia in servizio al PS per non aver visitato con urgenza del caso la paziente, omettendo di procedere a tempestiva diagnosi e di segnalare l'assoluta necessità di un intervento chirurgico.
La Corte d'appello di Roma, dichiarato estinto il reato ex artt. 113 – 589 c.p. contestato agli imputati per prescrizione, ha confermato le statuizioni civili, anche a carico dei responsabili civili e ASL.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati e del responsabile civile.
La Suprema Corte, accolti i ricorsi, ha analizzato l'evoluzione giurisprudenziale in materia di responsabilità medica.
Nella pronuncia in esame, i giudici di legittimità si sono soffermati sulla nozione di "giudizio controfattuale" ovvero quell'operazione intellettuale mediante la quale, eliminando mentalmente una determinata condizione (ad esempio, la condotta antigiuridica dell'imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, l'evento si sarebbe ugualmente prodotto.
Tale giudizio controfattuale si svolge attraverso la doppia formula:
Il giudizio controfattuale costituisce il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice ovvero la teoria condizionalistica.
Ai fini della formulazione del giudizio controfattuale nei casi di "causalità omissiva", occorre preliminarmente accertare ciò che è effettivamente accaduto e, cioè, la formulazione del c.d. giudizio esplicativo, necessario per ricostruire "la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato" (Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012, Albiero, Rv. 25500801).
La Cassazione ha, dunque, ribadito che, proprio in tema di responsabilità medica, risulta indispensabile l'accertamento del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia per verificare se l'evento lesivo sarebbe stato evitato oppure differito in presenza della condotta dovuta da parte del sanitario.
In particolare, per stabilire "se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l'evento lesivo, non si può prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alle "causa" dell'evento stesso, giacché solo conoscendo tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici, la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto" (Cass.pen. Sez IV, n.25233 del 25/05/2005, Rv. 232013 – 01).
La Suprema Corte ha poi richiamato i principi di diritto elaborati dalle Sezioni Unite nella già citata sentenza Franzese, attinenti alla responsabilità professionale:
- il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica – si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l'evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Tuttavia, come già in precedenza ribadito, "non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica di riferimento la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile cosicché, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto grado di credibilità razionale".
Nell'ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto con riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario e che, se posta in essere, risulta idonea a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
La Suprema Corte ha poi richiamato l'insegnamento delle Sezioni Unite del 2014 che, nella nota sentenza Thyssenkrupp (Cass.pen. S.U. n.38343 del 24.04.2014), si sono nuovamente soffermate sulle questioni relative all'accertamento della causalità omissiva.
Le SU hanno, difatti, sviluppato il modello epistemologico già indicato nella pronuncia del 2002 – che delinea un modello dell'indagine causale capace di integrare l'ipotesi esplicativa delle serie causale degli accadimenti e la concreta caratterizzazione del fatto storico – ribadendo che, "nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto".
Ebbene, una volta enunciati i principi espressi in più occasioni dalla Suprema Corte, i giudici di legittimità hanno aspramente criticato le argomentazioni esposte dalla Corte distrettuale poiché non ha chiarito in che modo gli imputati avrebbero dovuto o potuto evitare l'evento o, comunque, non ha fornito un giudizio di alta probabilità logica in ordine alla sicura idoneità salvifica della condotta doverosa omessa, limitandosi a delle generiche considerazioni.
Invero, gli stessi periti non sono stati in grado di individuare le cause di insorgenza e i tempi di evoluzione della patologia, definita "fulminante" e di difficile diagnosi dagli esperti. Non sono stati indicati, tanto meno approfonditi quali "accertamenti diagnostici" i medici avrebbero dovuto adottare e, soprattutto, se gli stessi avrebbero consentito di intraprendere un percorso terapeutico idoneo ad impedire o ritardare la morte.
La Corte territoriale, contravvenendo pienamente ai detti principi, ha fondato le sue valutazioni su un giudizio ipotetico privo di un adeguato supporto indiziario quanto al fattore scatenante e all'evoluzione che ha determinato la patologia da cui è derivato l'evento letale che gli imputati – a dire dei giudici di merito - avrebbero dovuto o potuto evitare.
"La logica della decisione – ha osservato infine la Suprema Corte – appare largamente insoddisfacente laddove, nella sostanza, per dare risposta al quesito "da quale momento poteva pretendersi dai sanitari intervenuti, in presenza di un fenomeno patologico ingravescente, l'effettuazione di mirati accertamenti diagnostici", i giudici hanno condiviso il ragionamento adottato dai periti, sintetizzabile nella formula "prima si interviene e meglio è", di per sé generico, carente e, come tale, inidoneo a fondare un serio giudizio controfattuale e, ancor prima, ad individuare con cognizione di causa il comportamento alternativo lecito che avrebbe dovuto essere seguito dai sanitari nel caso concreto".
La Cassazione ha, dunque, annullato la sentenza impugnata ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili, rinviando per un nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
[1] Cass.pen. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese