Obbligo di fedeltà matrimoniale e addebito in caso di separazione...che relazione c’è con il risarcimento del danno patito?
L'art. 143 del codice civile stabilisce che "[…] Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. [...]".
Sempre più spesso, negli studi legali, i coniugi che si presentano per chiedere la separazione giudiziale chiedono anche che il giudice dichiari l'addebito della separazione a carico dell'altro coniuge talvolta chiedendo il risarcimento del danno per il trauma patito.
Ma tutto ciò, naturalmente, non sempre è possibile.
Il tradimento è, come ben noto, la principale causa di separazione dei coniugi e comporta talvolta dei risvolti non solo "socialmente" ma anche giuridicamente rilevanti.
Ebbene, la relazione extraconiugale è il tipico esempio che conduce al riconoscimento dell'addebito.
Ma cosa si intende per "addebito" della separazione dei coniugi?
L'addebito è una conseguenza che viene patita dal coniuge che, con il suo comportamento, ha determinato la fine del matrimonio e viene dichiarata dal giudice in presenza di determinati presupposti.
Ha una funzione sanzionatoria in quanto comporta conseguenze di natura patrimoniale e punitiva nei confronti del coniuge fedifrago poiché lo stesso perde il diritto all'assegno di mantenimento e i diritti successori (i quali, ricordiamo, vengono comunque meno con il divorzio a prescindere dall'addebito dalla separazione).
Il giudice infatti determina l'addebito quando, secondo l'art. 151 co. 2 c.c., ne ricorrano le circostanze e quando ne sia fatta richiesta.
Ciò significa che vi deve essere, alla base della decisione di separarsi, la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e il nesso causale tra la violazione e la crisi coniugale che ha avuto quale conseguenza l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Inoltre, la pronuncia dell'addebito è eventuale e sempre subordinata ad una istanza di parte.
In questo contesto è bene evidenziare come l'infedeltà non comporta automaticamente il riconoscimento dell'addebito della separazione in quanto il codice civile richiede espressamente che vi sia un nesso causale tra il tradimento e la fine del matrimonio ovvero bisognerà dimostrare che senza l'infedeltà il matrimonio non si sarebbe sciolto.
Di talché, se la crisi coniugale fosse anteriore al tradimento e quest'ultimo ne fosse solo conseguenza il giudice non pronuncerà l'addebito.
L'addebito può essere pronunciato a prescindere che la relazione extraconiugale intrattenuta da uno dei coniugi sia occasionale o stabile e addirittura la giurisprudenza è giunta a riconoscere, quale motivo di addebito, anche il cosiddetto "tradimento apparente" ed anche il "tradimento platonico".
Per "tradimento apparente" si intendono tutte quelle condotte tenute dal coniuge tali da far percepire all'esterno la consumazione di un tradimento che, in realtà, non è mai avvenuto.
Ad esempio il caso della moglie che finga un tradimento con lo scopo di ferire il marito; il caso del marito che fa effusioni esplicite con un'altra donna in pubblico; il caso del coniuge che faccia credere a terzi l'esistenza di una relazione extraconiugale, o anche la ricerca (sempre più frequente) di relazioni sui siti web di appuntamenti.
Il Tribunale di Palmi, con sentenza del 2021, ha pronunciato l'addebito nei confronti del marito che si era dichiarato single sullo stato di Facebook., pur essendo sposato.
Per "tradimento platonico" si suole intendere invece l'esistenza, da parte di un coniuge, di un coinvolgimento affettivo per un terzo, sebbene vi sia assenza di rapporti sessuali o addirittura senza che il terzo sia a conoscenza dei sentimenti nutriti nei suoi confronti dal coniuge stesso.
Riassumendo, il coniuge che subisce la pronuncia di addebito perde quindi:
1. il diritto all'assegno di mantenimento ex art. 156 co. 1 c.c.
2. i diritti successori ex art. 548 co. 2 c.c.
Con la pronuncia di addebito il coniuge però mantiene il diritto agli alimenti in caso di bisogno ex art. 433 c.c., conserva il diritto a percepire un assegno vitalizio a carico dell'eredità nel caso in cui lo stesso godesse degli alimenti prima dell'apertura della successione (art. 548 co. 2 c.c.), nonché conserva il diritto alla pensione di reversibilità a prescindere dal fatto che lo stesso godesse (o meno) di un assegno alimentare a carico del coniuge deceduto (Corte Cost. n. 286/1987 e Cass. Civ. n. 6474/2019).
Conseguenza processuale dell'addebito consiste nella condanna al pagamento delle spese legali.
Infine il coniuge al quale non è stata addebitata la separazione, potrà chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni subiti ex art. 2043 c.c. per la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in quanto, tali lesioni, sono state considerate dalla giurisprudenza quale fonte di responsabilità extracontrattuale.
L'infedeltà coniugale è fonte di risarcimento del danno non patrimoniale per il coniuge che lo ha subito ma non è strettamente legato alla pronuncia di addebito.
Può verificarsi infatti la possibilità che si addivenga ad una definizione consensuale del matrimonio per poi agire autonomamente per ottenere il risarcimento del danno sofferto.
Naturalmente non potrà chiedersi il risarcimento del danno per la condotta fedifraga in sé considerata ma si dovrà dimostrare l'insorgenza di un danno ingiusto derivato dal comportamento del coniuge infedele che abbia avuto quale conseguenza la lesione dei diritti, costituzionalmente garantiti, dell'altro coniuge.
L'onere della prova graverà quindi sul coniuge che richiede il risarcimento del danno e che dovrà dimostrare, come ribadito più volte dalla Suprema Corte, l'efficacia causale tra le condotte tenute dal coniuge infedele e l'intollerabilità relativa alla prosecuzione della convivenza; viceversa chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria dovrà dimostrare l'interiorità della crisi matrimoniale rispetto all'accertata infedeltà (Cass. Civ., Sez. 6, ordinanza. n. 3923 del 19 febbraio 2018; Cass. Civ., Sez. 1, ordinanza n. 24811 del 16 settembre 2024).
Tra il danno e il tradimento dovrà quindi esserci un nesso di causalità, che potrà escludersi ogni volta in qui si dimostri che l'infedeltà si sia verificata all'interno di un rapporto matrimoniale già in crisi.
Necessario è inoltre che l'infedeltà sia stata causa e non conseguenza della crisi tra i coniugi e quindi che la stessa sia stata causa del danno ingiusto che deve essere costituzionalmente rilevante (deve ledere, ad esempio, la salute, l'onore, la dignità, l'immagine, la riservatezza, ecc.).
Il riconoscimento del risarcimento del danno, nelle situazioni descritte poc'anzi, è il frutto di percorso giurisprudenziale che ha portato la Suprema Corte a riconoscere il risarcimento al coniuge tradito ex art. 2043 c.c. slegandolo completamente dal riconoscimento dell'addebito.
Inizialmente la Corte infatti riconosceva, quale unica sanzione per l'infedeltà, l'addebito.
Successivamente si è iniziato a riconoscere il risarcimento del danno ogni volta in cui ci si trovasse di fronte a condotte dolose o gravemente colpose che avessero quali conseguenze un danno ingiusto al coniuge al di là del trauma e alle sofferenze legale al tradimento in sé.
Nel settembre 2011, con sentenza n. 18853, la Cassazione ha riconosciuto l'autonomia del risarcimento del danno rispetto alla pronuncia di addebito in sede di separazione dei coniugi, continuando però a ritenere necessario che la condotta tenuta dal coniuge infedele fosse particolarmente grave e lesiva.
Recentemente infine la Corte ha iniziato a riconoscere il diritto al risarcimento del danno quale conseguenza del mero tradimento in sé senza che lo stesso sia necessariamente legato a condotte lesive o pregiudizievoli nei confronti del coniuge tradito, fermo restando che il danno causato dovrà sempre essere ingiusto e lesivo di diritti costituzionalmente garantiti.
La giurisprudenza ha però chiarito che non sussiste alcun automatismo tra la violazione dei doveri coniugale, il riconoscimento dell'addebito e il risarcimento del danno poiché per richiedere il risarcimento non basterà provare la violazione dell'art. 143 c.c. o l'intervenuta pronuncia di addebito ma occorrerà altresì dimostrare che sussistano tutti i presupposti ex art. 2059 c.c. ossia che il tradimento abbia comportato conseguenze pregiudizievoli per il coniuge tradito (Cass. Civ., n. 26383 del 19 novembre 2020).
In conclusione quindi possiamo affermare che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio non ha più quale sola ed unica conseguenza il riconoscimento di sanzioni tipiche previste dal diritto di famiglia quali, ad esempio, l'addebito della separazione, ma può integrare oggi anche gli estremi dell'illecito civile qualora vengano lesi diritti costituzionalmente tutelati, dando luogo ad una autonoma azione diretta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che l'assenza di pronuncia di addebito in sede di separazione possa essere a questa preclusiva (Cass. Civ., ordinanza n. 6598 del 7 marzo 2019).