Successione di leggi penali nel tempo e modificazione da fattispecie circostanziata a reato autonomo
Tra i principi cardine del diritto penale si annoverano sia il divieto di retroattività della legge penale più sfavorevole, sia l'efficacia retroattiva della lex mitior. I due principi rinvengono però un diverso fondamento costituzionale e, conseguentemente, diversi sono i limiti alla loro operatività.
Il primo principio è regolato dall'art. 25 comma 2 Cost., nella parte in cui vieta la punizione di un soggetto sulla base di una legge non ancora vigente al momento della commissione del fatto. La stessa previsione si rinviene anche nelle carte internazionali dei diritti, sia all'art. 7 CEDU, sia all'art. 49 CDFUE[1]. Nello stesso senso si esprime anche l'art. 2, comma 1, c.p.
Più complessa è invece la ricostruzione dell'aggancio costituzionale del principio di retroattività della legge penale più favorevole. Infatti, nessun riferimento esplicito si rinviene in tal senso nell'art. 25 Cost., né tantomeno nell'art. 7 CEDU[2]. Solo l'art. 49 CDFUE afferma espressamente che se la legge successiva preveda una pena più lieve, quest'ultima debba allora trovare applicazione. Se ne desume, a fortiori, che si deve seguire lo stesso ragionamento nel caso in cui la normativa sopravvenuta contenga l'abrogazione del reato.
Sul piano della disciplina di rango ordinario, l'art. 2 c.p. contiene ai commi 2 e seguenti un chiaro riferimento alla portata retroattiva della legge penale più favorevole. In assenza di un fondamento costituzionale, tuttavia, tali norme costituirebbero un mero autovincolo legislativo, sempre derogabile ad opera del legislatore nel singolo caso concreto. In altri termini, il legislatore potrebbe discrezionalmente escludere l'applicazione retroattiva di una legge successiva più favorevole.
Per evitare tali conseguenze la Corte costituzionale ha rinvenuto il fondamento della retroattività della legge penale più favorevole nell'art. 3 Cost., nella sua declinazione del principio di ragionevolezza. Da tale ricostruzione discendono i seguenti effetti: la regola generale prevede che la legge penale successiva più favorevole trovi sempre applicazione anche per i fatti già commessi; tuttavia, il legislatore può introdurre limiti alla efficacia retroattiva, purché questi ultimi siano ragionevoli.
In tal senso deve essere letta la disciplina contenuta nell'art. 2, commi 2 e seguenti, c.p., nella parte in cui si prevede che la legge penale più favorevole trovi sempre applicazione per i fatti pregressi quando contenga un'abolizione di una fattispecie incriminatrice, mentre essa incontra il limite del giudicato qualora sia meramente modificativa.
Si distinguono perciò le ipotesi di abolitio criminis, in cui a seguito della novella normativa il fatto non costituisce più reato, dalle ipotesi di abrogatio sine abolitione, in cui la norma precedente viene abrogata o modificata senza però che il fatto cessi di avere rilevanza penale.
Sebbene la distinzione possa apparire chiara in astratto, molteplici sono i criteri elaborati dalla dottrina e accolti dalla giurisprudenza per distinguere le due ipotesi. Essi sono la doppia punibilità in concreto, la continuità del tipo di illecito e il raffronto strutturale tra norme.
Secondo il primo criterio, sussiste una mera modificazione normativa tutte le volte in cui il fatto possa essere sussunto nella precedente e nella nuova norma.
In base al secondo criterio, si ha una successione rilevante ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., qualora il bene giuridico tutelato e la sua lesione per come configurati dalla previgente fattispecie non risultino stravolti dalla novella normativa.
Ai sensi del terzo criterio, l'interprete deve affrontare il problema rapportandosi al confronto astratto tra le norme, valutando gli elementi nuovi aggiunti, specificati o eliminati rispetto alla precedente norma e interrogandosi sul "peso" di queste modificazioni.
Ebbene, nel caso in cui a essere modificata sia la qualificazione di una previgente fattispecie da circostanziata ad autonomo illecito penale, dall'applicazione dei vari criteri si giunge sempre alla conclusione della sussistenza di una abrogatio sine abolitione, e non invece di una vera e propria abolitio criminis con eventuale introduzione di una nuova fattispecie incriminatrice senza profili di continuità con quella previgente.
Infatti, il medesimo fatto in concreto può essere sussunto sia nella fattispecie circostanziata che in quella autonoma; l'elemento un tempo rilevante come circostanza e successivamente come elemento costitutivo non incide comunque sulla lesione o sulla individuazione del bene giuridico tutelato; infine, dal raffronto strutturale fra le norme risulta che la modificazione normativa non abbia una rilevanza tale nella descrizione della fattispecie da causare una cesura rilevante nella successione tra leggi.
Ciò non esclude a priori l'ipotesi che una successione da reato circostanziato a fattispecie autonoma integri una vera e propria abolitio criminis. Tuttavia, per l'applicazione dell'art. 2, comma 2, c.p., non è sufficiente la sola diversa qualificazione di un elemento come accidentale o costitutivo, quanto piuttosto una riscrittura profonda della fattispecie incriminatrice con una nuova rilevanza del citato elemento nella innovata formulazione normativa.
Alla luce delle precedenti considerazioni, si deve concludere per la sussistenza di una mera modificazione rilevante ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p. Ciò comporta, però, il diverso problema di individuare quale sia la legge più favorevole tra quella che descriveva il fatto come reato circostanziato e quella che lo prevede come fattispecie autonoma.
La soluzione alla questione non può però essere individuata in astratto. Come affermato dalla giurisprudenza circa l'applicazione dell'art. 2, comma 4, c.p., il giudice deve individuare la legge più favorevole per il caso concreto, tenendo in considerazione tutti gli effetti derivanti dalle norme[3].
Una delle ipotesi affrontate dalla giurisprudenza sul punto attiene alla ipotesi della lieve entità in materia di sostanze stupefacenti. Questa era originariamente prevista come circostanza attenuante, per poi essere novellata dal legislatore come fattispecie autonoma di reato nell'attuale art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.
Sebbene tutte le pronunce abbiano implicitamente o espressamente ricostruito una mera modificazione normativa nel passaggio dalla fattispecie circostanziata alla ipotesi di reato autonomo, diverse sono state le soluzioni circa la legge più favorevole[4].
Alla luce di quanto finora esposto, il passaggio da una fattispecie di reato circostanziato a una di reato autonomo non è di per sé sufficiente per concludere per la sussistenza di una ipotesi di abolitio criminis. Ne consegue che la modificazione normativa, pur più favorevole, incontra l'insormontabile limite del giudicato. Individuata la soluzione nell'art. 2, comma 4, c.p., deve altresì affermarsi che l'individuazione della legge più favorevole deve necessariamente essere condotta sulla base del caso concreto.
[1] Si noti, tra l'altro, che la normativa internazionale non solo stabilisce il divieto di condanna per un fatto che al momento della commissione non assumeva alcuna rilevanza penale, ma vieta altresì l'applicazione di una pena più grave di quella applicabile al momento della realizzazione della condotta illecita. Non altrettanto esplicita è invece la disposizione della carta costituzionale, sebbene alla medesima conclusione possa giungersi in via interpretativa.
[2] In particolare, la Corte EDU ha affermato che la retroattività della lex mitior costituisce proiezione implicita dell'art. 7 CEDU.
[3] Sul punto si veda Cass. pen., Sez. III, n. 27816 del 24/06/2019, in relazione alla trasformazione di una circostanza aggravata trasformata o assorbita in altro reato e viceversa.
[4] Si veda, a tal proposito, Cass. pen., Sez. III, n. 47035 del 27/11/2015, secondo la quale, a parità di pena edittale e in base a una valutazione in concreto, è più favorevole la norma che preveda il fatto come reato autonomo piuttosto che come fattispecie circostanziata. Ancora, Cass. pen., Sez. IV, n. 50047 del 01/12/2014, la quale, dopo aver precisato che la valutazione circa la normativa più favorevole deve essere condotta in concreto, ha affermato che per le droghe pesanti è più favorevole la normativa che prevede il reato come fattispecie autonoma laddove la circostanza attenuante sia stata ritenuta prevalente sulla recidiva reiterata. Si veda anche Cass. pen., Sez. IV, n. 44119 del 23/10/2014, secondo la quale, ribadito il principio per cui la valutazione della legge più favorevole deve essere condotto sulla base del caso concreto, ha affermato che per le droghe cosiddette leggere la previgente disciplina risulta più favorevole, laddove il giudice di merito aveva ritenuto la circostanza attenuante prevalente sulla ritenuta recidiva reiterata aggravata. Si veda ancora Cass. pen. Sez. VI, n. 14288 del 26/03/2014, secondo la quale la nuova fattispecie di lieve entità risulta più favorevole di quella precedente nel momento in cui, tra i vari effetti conseguenti dalla modifica normativa, comporta un diverso termine prescrizionale con conseguente sua maturazione ed estinzione del reato. Si veda anche Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rovereto, n. 14 del 20-21/02/2014, in cui si è specificato che la nuova formulazione sia più sfavorevole rispetto a quella precedente, salvo i casi limite in cui una o più circostanze aggravanti erano state ritenute prevalenti o equivalenti sulla circostanza della lieve entità.