Sulla natura non patrimoniale del profitto nel reato di furto

13.04.2024

Cass. Pen., Sezioni Unite 12 ottobre 2023, n. 41570

Con la sentenza n. 41570 del 12.10.2023 la Corte di Cassazione chiarisce la natura del fine del profitto nel reato di furto.

La decisione trae la sua origine dal ricorso dell'imputato, avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo, che aveva confermato la decisione di condanna del giudice di prime cure, condannandolo a otto mesi di reclusione e 300 euro di multa.

Il soggetto è stato ritenuto responsabile del reato ex art. 624 bis c.p., poiché aveva strappato di mano il telefono della persona offesa. L'azione dell'imputato era motivata dall'intento di evitare che la P.O. chiamasse i carabinieri a seguito di una lite tra i due.

Il giudice di merito ha ritenuto non sussistenti gli estremi della violenza privata in quanto la condotta dell'agente non era finalizzata ad impedire di chiamare le forze dell'ordine, ma si trattava di una reazione all'iniziativa della persona offesa.

Inoltre, il giudice non ha ritenuto applicabile la circostanza attenuante generica ex art. 62 comma 4 c.p. ritenendo che l'oggetto sottratto avesse un apprezzabile valore economico.

L'imputato fonda il proprio ricorso sui seguenti motivi: 1) erronea applicazione della legge penale (l'art. 624 bis c.p.), mancanza o illogicità della motivazione e travisamento della prova, sostenendo che la Corte d'appello abbia aderito ad un orientamento non pacifico ritenendo sussistente il dolo specifico del profitto richiesto dalla norma incriminatrice, al contrario, invece, l'imputato avrebbe agito non per conseguire un'utilità economica ma per una finalità diversa. Inoltre, il ricorrente evidenzia come solo una nozione di profitto inteso come conseguimento di un'utilità economica possa soddisfare il principio di tipicità della norma penale, per evitare di dilatare a dismisura la sfera del furto. 2) Con il secondo motivo di ricorso si lamentano erronea applicazione della legge penale, in riferimento all'art. 62 comma 4 c.p., e difetto o illogicità della motivazione, poiché la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto che il valore economico del bene non era mai emerso durante il processo, ed anzi, il cellulare sottratto era un modello obsoleto all'epoca dei fatti, infine, la sottrazione del bene si era protratta per un breve lasso di tempo.

La Quinta sezione penale della Corte di cassazione, a seguito di trasmissione del procedimento da parte della Settima sezione, trasmette il ricorso alle Sezioni Unite, con ordinanza del 18.11.2022. La rimessione è motivata dalla sussistenza di orientamenti contrapposti in ordine alla nozione di profitto alla quale fa riferimento la norma incriminatrice.

Le Sezioni Unite, dunque, nel decisum hanno in primis ripercorso i vari orientamenti in ordine alla nozione di profitto; un primo orientamento ritiene la nozione di profitto svincolata dalla natura economica, quindi, il profitto avuto di mira dall'agente può consistere in una qualsiasi utilità, anche non patrimoniale. Secondo tale orientamento il profitto va inteso come conseguimento di una qualsiasi utilità, realizzabile con l'impossessamento della cosa altrui, commesso con coscienza e volontà in danno della persona offesa. Secondo l'anzidetta ricostruzione una diversa interpretazione determinerebbe un eccessivo restringimento della tutela penale.

Un secondo orientamento più recente, invece, inquadra la nozione di profitto in senso restrittivo, attribuendole rilievo solo qualora il vantaggio perseguito sia di natura patrimoniale.

Al contrario, si trascurerebbe il dato letterale della norma che inquadra il reato nei delitti contro il patrimonio e determinerebbe un'eccessiva espansione della nozione di profitto fino a identificare lo scopo di lucro con la generica volontà di tenere per sé la cosa.

Dal canto loro le Sezioni Unite hanno ritenuto di aderire al primo di tali orientamenti, la Corte afferma che è possibile il ricorso ad un'interpretazione integrata, sistematica e teleologica del termine, purché non si varchi in tal modo la "linea di rottura" col dato positivo con il rischio di evadere da esso.

Tanto osservato, continua la Corte sostenendo che circoscrivere la nozione di profitto all'ambito strettamente patrimoniale non può trovare fondamento in un significato univoco del termine "profitto" nel linguaggio comune, ed infatti quest'ultimo ricorre anche in espressioni prive di qualunque correlazione con la sfera patrimoniale, finendo per identificarsi, altresì, con un giovamento sia fisico sia intellettuale o morale.

Una volta escluso che l'interpretazione restrittiva della nozione di profitto possa trovare accoglimento, secondo gli ermellini occorre analizzare il rilievo per cui una nozione di profitto onnicomprensiva tradirebbe le funzione della tipicità penale, ampliando a dismisura la sfera del furto. Secondo le Sezioni Unite, l'orientamento maggioritario non elide la funzione selettiva del dolo specifico, solo perché ritiene che il profitto perseguibile possa essere anche di natura non patrimoniale.

Pertanto, secondo gli ermellini, il profitto rilevante, quale connotato della specifica direzione della volontà, che va a svolgere un'ulteriore funzione delimitatrice rispetto al mero profilo oggetto della condotta di sottrazione e di impossessamento, è quello che, indipendentemente dalla sua idoneità ad essere apprezzato in termini di valutazione economica, viene tratto immediatamente dalla costituzione del possesso sulla cosa e non quello che può derivare attraverso ulteriori passaggi dall'illecito.

In sintesi, per la Corte, il profitto rilevante è quello che deriva dal possesso penalisticamente inteso, dalla conservazione e dal godimento del bene. Chi distrugge, disperde, deteriora, rende in tutto o in parte inservibile un bene esercita atti di dominio, ma, ove questi siano fini a sé stessi, il profitto che l'autore si ripromette discende da condotte che il legislatore tipizza rispetto ad altra fattispecie incriminatrice e non dal possesso della cosa.

In conclusione, alla luce di quanto esposto le Sezioni Unite concludono enunciando il seguente principio: "nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore".

Alla luce del principio enunciato la Corte decide in riferimento al primo motivo di ricorso l'infondatezza, poiché il carattere non direttamente lucrativo dell'azione non mira ad escludere il fine del profitto richiesto dalla norma incriminatrice. Il secondo motivo è dichiarato inammissibile poiché, ai fini della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l'entità del danno va valutata al momento della consumazione del reato, ed a nulla rileva che la sottrazione si protragga per un breve periodo. Inoltre, le Sezioni Unite osservano che il ricorrente assertivamente deduce il carattere obsoleto del telefono, non riuscendo a scardinare la tenuta argomentativa della sentenza impugnata.

Dott. Domenico Ruperto