Ubriachezza del reo e maltrattamenti in famiglia: è giustificato l’aggravio sanzionatorio per gli effetti delle sue condotte
Cass. Pen. sez. VI, 20Dicembre 2022, n. 3383
La Suprema Corte è recentemente tornata sulla condizione di ubriachezza abituale con riferimento al reato di maltrattamenti in famiglia, che nel nostro ordinamento è punito all'art. 572 del codice penale.
Lo ha fatto la Sesta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3383 del 26 gennaio 2023.
La Corte di Appello di Reggio Calabria ha riformato la pronuncia del Tribunale di Palmi, che aveva ritenuto penalmente responsabile un uomo per il delitto di maltrattamento ai danni della madre e delle sorelle, con l'aggravante dello stato di ubriachezza e della recidiva quinquennale (nonché per il delitto di lesioni aggravate ai danni della madre, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento).
Il giudice di seconde cure ha rideterminato la pena previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, escludendo la recidiva infraquinquennale.
Il reato in questione è, appunto, il delitto di maltrattamenti in famiglia, posto a tutela della salute e l'integrità psico-fisica di soggetti che appartengono a un contesto familiare o para-familiare, che punisce all'art. 572 c.p. "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi".
Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate può classificarsi come "maltrattante" qualsiasi complesso di atti prevaricatori, vessatori ed oppressivi reiterati nel tempo, tali da produrre nella vittima un'apprezzabile sofferenza fisica o morale o anche tali da pregiudicare il pieno e soddisfacente sviluppo della personalità della stessa.
Si tratta di un reato proprio, in quanto lo stesso può essere integrato non da chiunque ma solo da coloro che si trovano in una determinata posizione rispetto alla vittima. È un reato abituale in quanto le condotte poste in essere dal soggetto attivo possono essere irrilevanti giuridicamente se singolarmente considerate, ma divengono illecite a seguito del loro protrarsi nel tempo. Per la configurazione del delitto in esame è richiesto il dolo generico, ovverosia la coscienza e la volontà di ingenerare nella vittima, con il proprio comportamento, una serie di conseguenze negative.
Avverso la sentenza l'imputato ricorre in Cassazione per mezzo del proprio difensore di fiducia attraverso i seguenti motivi:
- mancanza ovvero contraddittorietà e manifesta illogicità per erronea qualificazione dei fatti come maltrattamenti ai danni di familiari nonostante mancasse l'abitualità delle condotte (consistenti invece, a detta della difesa, in episodi sporadici di percosse o lesioni) e lo stato di soggezione e di inferiorità psicologica delle persone offese che avevano agito con lo scopo di far curare e disintossicare l'imputato.
Inoltre, il provvedimento avrebbe omesso di riconoscere le circostanze attenuanti di cui all'art. 95 e 89 c.p. "applicando erroneamente l'aggravante dell'ubriachezza abituale di cui all'art. 94 nonostante la relazione del centro clinico in cui era ricoverato il ricorrente desse atto che lo stesso era affetto da cronica intossicazione da alcol".
- violazione della legge in relazione agli artt. 62-bis e 133 c.p. per non avere applicato le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla contestata aggravante, senza specificare le ragioni della ritenuta gravità del reato e, comunque, con applicazione di una pena "spropositata".
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso: afferma, infatti, la stessa che le condotte dell'imputato, quali continue e gravi violenze fisiche consumate nel corso degli anni con schiaffi, pugni e lancio di suppellettili contro le persone offese erano state accertate grazie alle dichiarazioni delle stesse e degli operanti intervenuti il giorno dell'arresto.
Inoltre riconosce l'abitualità delle condotte, aderendo all'orientamento secondo il quale "è sufficiente che siano compiuti più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria tali da determinare sofferenze fisiche o morali nelle persone offese senza che rilevi, per il perfezionamento del delitto, la condizione di soggezione e prostrazione determinata in queste, perché non previsto dalla norma (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, V., non mass.; Sez. 6, n. 30340 dell'08/07/2022, S., non mass.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.)".
Gli Ermellini analizzano, poi, le circostanze nel quale sono state poste in essere le violente condotte che indubbiamente avevano inciso sulla libertà e sull'integrità fisica e morale delle persone offese, a nulla rilevando la speranza delle stesse che il ricorrente si curasse dall'intossicazione di alcol. Tanto è che nel caso di specie vengono in rilievo gli elementi costitutivi dell'art. 94 c.p. ovvero la dedizione all'uso di alcol e il frequente stato di ubriachezza, "condizioni da cui consegue una maggiore pericolosità dell'agente tale da meritare non solo l'aggravamento della pena, ma anche l'applicazione della misura di sicurezza".
La Corte Suprema arriva, a seguito del suo excursus, ad enunciare il seguente principio: "L'ubriachezza abituale, dunque, merita, per il legislatore, un aggravio sanzionatorio proprio perché rende più gravi e devastanti gli effetti delle condotte dell'autore sia con riguardo alla persona offesa, che teme l'imprevedibilità e lo sviluppo dei comportamenti delittuosi; sia con riferimento alla loro intensificazione e incombenza. L'ulteriore rigore e penalizzazione di coloro che abbiano commesso il fatto in stato di ubriachezza abituale (o sotto l'azione di sostanze stupefacenti), in forza di una originaria presunzione di pericolosità ora sostituita da un suo accertamento in concreto, è dimostrata anche dall'art. 221 c.p. che prevede in questi casi, previo accertamento dei presupposti, l'applicazione di una misura di sicurezza".
La condizione di ubriachezza, in quanto transitoria e consapevole, quando indirizza le violenze in modo mirato e costante solo nei confronti di individuate persone del contesto familiare e non di altre, al più amplifica le modalità e gli esiti delle violenze, ma non ne costituisce mai la causa e men che meno genera "asseriti impulsi incontrollabili"[1].
Anche lo stesso legislatore, escludendo che l'ubriachezza abituale incida su coscienza e volontà dell'autore, stabilisce in termini chiari e precisi che non è l'abuso di alcol (quando non si traduca in una malattia cronica documentalmente accertata) a generare i comportamenti illeciti (e nella specie la violenza domestica) ma ne aggrava l'entità e rende l'autore del reato ancora più pericoloso.
[1] Sul punto vedi anche Cass. pen., sez. VI, 4 ottobre 2022, n. 39578.