Violenza privata e dovere dei genitori di educare i propri figli

23.04.2025

A cura di Avv. Francesco Martin

Il delitto di violenza privata è disciplinato dall'art. 610 c.p. e punisce con la reclusione fino a 4 anni colui che, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere.

Si tratta di un reato di evento a condotta vincolata che consiste quindi nel costringere altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa, mediante l'utilizzo della violenza personale fisica (propria o impropria) e della violenza personale psichica (minaccia) attiva o omissiva.

La condotta violenta o minacciosa deve, infatti, sempre atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un duplice evento ulteriore: lo stato di costrizione della vittima, da un lato, e il fare, tollerare od omettere qualche cosa, quale effetto di detto stato di coazione, dall'altro lato.

Il delitto si perfeziona nel momento e luogo del comportamento attivo, omissivo o passivo coartato; momento e luogo della perfezione possono, dunque, essere diversi da quello di estrinsecazione della vis.

Il tentativo è configurabile nella duplice forma del tentativo compiuto allorché all'azione violenta non faccia seguito l'effetto coercitivo o comunque il comportamento attivo o omissivo e del tentativo incompiuto, quando neppure l'azione venga interamente compiuta.

Il reato è punito a titolo di dolo generico in quanto l'agente deve rappresentarsi e volere tanto le modalità della condotta, quanto il loro risultato costrittivo.

Il reato è aggravato se ricorrono le circostanze di cui all'art. 339 c.p., ovvero se la violenza o la minaccia sono commesse con armi, da persona travisata o da più persone riunite, con scritto anonimo o in modo simbolico o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte.

A fronte delle modifiche apportate con la Riforma Cartabia, attuata con d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha introdotto un ultimo comma nel testo dell'art. 610 c.p., la sussistenza delle predette aggravanti comporta la procedibilità d'ufficio del reato, che diviene invece procedibile a querela di parte nelle restanti ipotesi, purché la persona offesa non risulti incapace, per età o per infermità.

Circa il rapporto con altri delitti, se la condotta descritta dall'art. 610 c.p. viene realizzata al fine di esercitare un preteso diritto azionabile dinanzi al giudice, risulterà integrato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, di cui agli artt. 392 e 393 c.p.-

Di particolare interesse risulta l'esplicarsi del reato di violenza privata nell'ambito dei rapporti familiari con particolare riferimento al dovere dei genitori di educare i propri figli.

Su tale punto è di recente intervenuta la Corte di cassazione[1] la quale ha affermato che: «Per integrarsi il delitto di violenza privata (art. 610 cod. pen.) è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo.

Invece, sono penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o, comunque, a influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà».
Orbene l'opera educativa richiede, per sua natura e quando necessario, il ricorso a mezzi di correzione e di disciplina, e la incriminazione, ex art. 571 c.p., dell'abuso di tali mezzi, presuppone che l'ordinamento ne riconosce un uso lecito.

Allora, è tollerabile l'uso, episodico non sistematico, di una vis modicissima nei confronti dei figli minorenni, purché sia funzionale alla loro corretta educazione e non si traduca in comportamenti lesivi della integrità fisica della dignità della persona.

Conseguentemente qualora la condotta sia connotata da un'intimazione, frutto della esasperazione, e non di una intimidazione funzionale alla minaccia, non può ravvisarsi una significativa compressione della libertà personale della persona offesa con la conseguenza che non risulterà integrato il delitto di violenza privata.


[1] Cass. Pen., Sez. VI, 21 febbraio 2025, n. 7330, in Dejure.